i controlli sanitari pre-cova

Con l’approssimarsi delle prime nascite l’allevatore di Psittacidi si premura sempre di fornire alle coppie le migliori condizioni, in termini di alimentazione, alloggio, nido e ambiente per ridurre al minimo i possibili fattori che potrebbero compromettere la crescita ed il corretto sviluppo dei futuri pulli. 

 

Nella frenesia di ultimare i preparativi per la stagione cove, molti avicoltori non prestano troppa attenzione a verificare lo stato di salute dei riproduttori e la presenza di eventuali patogeni nel microambiente dell’allevamento: non parlo ovviamente di stati patologici apparenti, poiché di certo risulterebbe sprovveduto porre in cova animali in cattiva forma fisica, ma mi riferisco piuttosto a quelle eventuali condizioni di latenza che potrebbero palesarsi in maniera improvvisa in una fase dell’anno così delicata, soprattutto su pulli ancora inadeguatamente dotati di un buon sistema immunitario, per i quali la trasmissione verticale di un patogeno dai genitori potrebbe facilmente risultare fatale.

 

Certo, dopo tutta la fatica compiuta per perfezionare i parametri ambientali e alimentari in attesa di una soddisfacente nidiata, può risultare assai frustrante vedere il proprio lavoro vanificato dal decesso inspiegabile dei neonati, il che può avvenire per cause infettive sia in embrione che molto dopo la schiusa, quando lo stato di salute dei nidiacei può apparire ampiamente stabile. Ancor più demoralizzante può essere la perdita totale di un’intera annata riproduttiva, qualora la coppia, dopo la perdita dei novelli, decidesse di rimandare la cova successiva alla futura primavera. 

 Le situazioni più comuni che possono lasciar ipotizzare la presenza di problemi sanitari in allevamento sono rilevate verosimilmente nell’incapacità dei pulcini di forare il guscio dell’uovo per eccessiva debolezza, negli anomali decessi subito dopo la schiusa per mancato riassorbimento del sacco vitellino, debolezza e ritardo della crescita nei pullus e talvolta anche interruzioni anomale dello sviluppo embrionale, in tutti gli stadi dell’ontogenesi.

In generale, qualsiasi decesso o incidente riproduttivo dovrebbe indurre l’allevatore ad insospettirsi, anche quando la causa della morte può risultare evidente: ad esempio, se i pulcini si mostrano indeboliti ed incapaci di rispondere agli stimoli-segnale della madre per ragioni patologiche, i genitori cercheranno di stimolare e nutrire i neonati beccando le estremità di zampe e ali, ferendo i lati del becco o talvolta arrivando a defenestrare i pulli dal nido. In tal caso, ciò che appare come un’evidente anomalia comportamentale dei riproduttori, potrebbe nascondere un’importante infezione in espansione.

Tutto ciò avviene molto spesso per negligenza dell’allevatore, che ha mancato di eseguire i dovuti controlli prima dell’entrata in cova degli animali: un’operazione assolutamente semplice e banale, che potrà però prevenire spiacevoli inconvenienti e monitorare meglio lo stato sanitario dell’allevamento.

Tale necessità si impone dal momento che i casi di trasmissione verticale ai pulli di patologie latenti nei genitori risultano essere estremamente frequenti: simili situazioni non risparmiano nemmeno gli allevamenti ottimamente gestiti, con riproduttori stabili rivelatisi in passato perfettamente sani e in ambienti protetti sanitariamente impeccabili. 

 

Un controllo periodico è sempre indispensabile, nonostante ci si possa credere sicuri dello stato delle proprie coppie, poiché il pericolo d’insorgenza di infezioni di qualsiasi natura è sempre dietro l’angolo, soprattutto durante il periodo invernale quando il freddo impone un maggior ristagno d’aria negli alloggi e l’umidità favorisce la proliferazione di muffe e colture batteriche. 

Inoltre, come nel caso di infezioni da candida e da Escherichia coli, alcune situazioni patologiche possono derivare da temporanei stati di debilitazione (dovuti a stress di vario genere) che conducono alcuni organismi fisiologicamente in simbiosi con l’organismo a tramutarsi in patogeni rompendo gli equilibri biotici esistenti.

 

 Un buon modo per evitare pesanti perdite in allevamento consiste nell’eseguire un controllo sui riproduttori che si intende porre in riproduzione, il che potrà avvenire piuttosto facilmente attraverso un’analisi di laboratorio di campioni prelevati da tamponi cloacali e buccali eseguiti sugli animali.

Effettuando entrambi questi controlli si può ottenere, secondo la mia esperienza, una visione a spettro completo sulle principali tipologie di patogeno presenti in allevamento: nel caso in cui i dati raccolti pongano dubbi sulla probabile presenza di un batterio, è possibile inoltre ricorre a un emocromo.

Il campionamento può essere effettuato direttamente dall’allevatore che potrà servirsi delle apposite provette contenti classici “cotton fioc” venduti a tal scopo in tutte le farmacie.

Con delicatezza e breve movimento rotatorio dello stecchino sarà possibile asportare sufficiente materiale dalla superficie della mucosa che si desidera analizzare, sigillare l’apposita provetta e consegnare il tutto ad uno degli appositi laboratori di analisi zooprofilattiche attualmente sparsi su tutto il territorio nazionale. L’inseminazione dei terreni di cultura permetterà ai tecnici di identificare la presenza di eventuali patogeni. Qualora non si fosse in grado di eseguire tali operazioni, consiglio invece di farsi assistere da allevatori esperti o personale veterinario.

 

In allevamenti di grandi dimensioni può divenire oneroso eseguire questo protocollo su ogni singola coppia, ragion per cui consiglio di effettuare dei campionamenti a random, selezionando solo alcune coppie per oggi gruppo di voliere e ipotizzando quindi che animali alloggiati in gabbie adiacenti si siano già trasmessi vicendevolmente l’eventuale infezione. 

Per la medesima ragione sono solito effettuare il controllo solamente su un membro della coppia, solitamente la femmina, in quanto più vulnerabile, data la permanenza nel nido e i rapporti col maschio, a contrarre malattie: tale approssimazione, pur non eliminando ogni ragionevole dubbio, mi permette di avere un buon margine di certezza.

 

Nel caso in cui dovesse emergere la problematica di un patogeno latente in allevamento, sarà il laboratorio stesso a effettuare un antibiogramma per stabilire la tipologia di terapia più adatta: solitamente potrà trattarsi di un antibiotico specifico per cui il batterio individuato non presenta resistenza.

Consiglio di effettuare la terapia su tutti gli esemplari presenti in allevamento, per possedere la certezza di debellare totalmente l’infezione ed evitare futuri contagi reciprochi: quanto meno, occorrerà premurarsi di trattare tutte le coppie presenti nelle vicinanze del focolaio individuato.

Inoltre, nonostante il periodo riproduttivo richieda una particolare cura alimentare, sarà bene somministrare solamente cibi secchi per massimizzare l’assunzione di liquido medicato, il quale dovrà essere riproposto fresco ogni giorno per tutto il periodo della cura (normalmente di circa 10 giorni).

Al termine del periodo, infine, sono solito ricorrere all’utilizzo di un buon antimicotico per circa 3-5 giorni, per evitare che la debilitazione immunitaria provocata dall’antibiotico possa alterare l’equilibrio biologico lasciando spazio alla proliferazione di elementi fungini.

Parallelamente, si rivelerà utile un’integrazione vitaminica e probiotica.

 

Molti allevatori tentano di sostituire tali controlli pre-cova con trattamenti antibiotici preventivi: oltre a creare immuno-resistenza nei ceppi batteri, potrà aggravare ulteriormente un’eventuale infezione presente, dal momento che molti medicinali sono ormai innocui per molti agenti patogeni e hanno il solo effetto di debilitare l’organismo, aprendo il campo alla diffusione della malattia. 

Anche sulfamidici e altri prodotti di libera commercializzazione possiedono lo stesso effetto, ragion per cui i trattamenti a scopi preventivi restano sempre sconsigliati.